Il commento trimestrale sulle attuali sfide economiche, politiche e sociali, direttamente dalla penna di Edouard Carmignac.
Gentile Signora, Egregio Signore,
Che scompiglio! Donald Trump, rieletto dopo aver promesso crescita più sostenuta, calo dell’inflazione attraverso incentivi agli investimenti, minore regolamentazione e riduzione della spesa pubblica, sta ora dichiarando una guerra commerciale totale. Se gli aumenti dei dazi doganali proposti dovessero essere implementati, l’economia statunitense potrebbe scivolare nella recessione. I dazi rappresenterebbero un tributo di quasi il 2% sul reddito disponibile dei consumatori statunitensi, mentre l’inflazione potrebbe raggiungere il 5%.
Questi improvvisi e continui voltafaccia hanno ovviamente sconvolto tutti i mercati. Oltre alle legittime coperture implementate in risposta alle nuove incertezze, riteniamo fondamentale modificare la nostra strategia di investimento per rispecchiare il nuovo ordine geopolitico ed economico.
Dalla fine della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno agito come garanti della sicurezza e dei valori occidentali. Affidando apparentemente la vittoria sull’Ucraina a Putin, quale credibilità manterrà Washington agli occhi di Europa, Giappone o Taiwan? Naturalmente, si potrebbe affermare che gli alleati degli USA abbiano contribuito in modo insufficiente al costo della propria difesa, ma, allo stesso tempo, non si potrebbe forse sostenere che lo abbiano già fatto acquistando principalmente armi prodotte negli Stati Uniti e finanziando generosamente il debito americano? Questi acquisti di titoli governativi e di titoli azionari hanno consentito agli Stati Uniti di vivere al di sopra delle proprie possibilità negli ultimi anni, con un crescente deficit commerciale finanziato a un costo più basso dagli investitori internazionali. L’avvio di una guerra dei dazi ridurrà sicuramente il deficit commerciale degli Stati Uniti, ma al costo di prezzi nettamente più alti per i consumatori e di un aumento del deficit pubblico indotto dall’indebolimento della crescita.
Una politica così assurda è insostenibile. Inevitabilmente prevarrà il buon senso, ampiamente enfatizzato da Trump durante la sua campagna elettorale. Ma quando? A quale livello i mercati e il calo dell’attività costituiranno un deterrente sufficiente per apportare cambiamenti significativi della politica? Fino ad allora la prudenza è d’obbligo, soprattutto perché l’indebolimento del dollaro sembra difficilmente evitabile. Continuiamo a privilegiare i titoli azionari tecnologici focalizzati sull’intelligenza artificiale, ma abbiamo ridotto la nostra esposizione complessiva agli Stati Uniti, prevedendo un inevitabile deflusso di capitali dagli USA, la cui capitalizzazione di mercato rappresentava quasi il 70% del valore dei mercati azionari globali all’inizio dell’anno.
Certamente, la sfiducia nei confronti del più grande mercato a livello globale ha conseguenze di vasta portata per il resto del mondo. Eppure, stanno emergendo alcune opportunità promettenti. L’annuncio previsto, relativo al ritiro del sostegno degli Stati Uniti alla difesa europea, ci spinge a riprendere il controllo del nostro destino. La Germania tornerà ad assumere il ruolo di propulsore della crescita europea, preparandosi ad aumentare il proprio deficit pubblico al 4%-5%, rispetto a una media dell’1,5% del prodotto interno lordo negli ultimi 75 anni. Certo, questo nuovo investimento verrà ripartito sui prossimi tre anni, ma andrà a beneficio di quei suoi partner europei che dispongono di un margine di bilancio molto più limitato. Otterranno un accesso privilegiato (senza dazi!) alla prima economia dell’Unione, il cui tasso di crescita aumenterà dal livello di stagnazione registrato negli ultimi due anni a quasi il 2%.
Oltre i nostri confini, le prospettive dei mercati emergenti diventano più interessanti, sostenute dalle nostre aspettative di un indebolimento del dollaro e di calo dei tassi di interesse reali indotti dal rallentamento della crescita statunitense. Privilegiamo l’America Latina, che è stata ampiamente risparmiata dalla minaccia dei dazi statunitensi e la cui evidente sottovalutazione degli asset dovrebbe essere corretta “dall’impulso di Javier Milei”. Il suo successo sta gradualmente indirizzando i paesi di questa regione verso una forma di governance più favorevole alla crescita. Tra le economie più promettenti va menzionata soprattutto l’India. Grazie a un governo stabile che favorisce gli investimenti privati, l’India è posizionata per continuare a crescere a un tasso che si avvicina al 6%, incentivando la nascita di aziende di qualità guidate da imprenditori di talento. Infine, non possiamo dimenticare la Cina, il principale beneficiario del ridimensionamento degli Stati Uniti, che sta fornendo stimoli senza precedenti alle proprie aziende tecnologiche.
Mentre il declino dell’impero statunitense è indubbiamente motivo di preoccupazione e determinerà sicuramente un percorso accidentato, l’avvento di un nuovo ordine mondiale creerà molte opportunità interessanti da cogliere.
Su questa nota positiva, colgo l’occasione per porgere i miei più cordiali saluti.